Lemon B & B

Lemon B & B
Dadà e la casa di terra innevata

mercoledì 14 marzo 2012

A Thousand Kisses Deep


E cerco un perché. Lo cerco sempre, anche quando non c'è. Non puo' esserci un perché per ogni cosa, ma non me ne faccio una ragione. Vorrei che tutto soggiacesse a delle regole, che tutto fosse dettato da motivi più o meno validi. Analizzo il comportamento, le parole, gli occhi, i gesti di chiunque mi sia accanto o interagisca con me. Cerco risposte, che poi sono utili soltanto a me stessa, non certo per capire l'altro, un atto di puro egoismo, per capire chi sono, e allora non capisco né gli altri né me stessa. Spaccare il capello in quattro, sempre questo mi accingo a fare, sminuzzare, logorare, rivivere ossessivamente altrui parole, altrui gesti, perché io lo so e ne sono convinta c'è un Dio in ognuno di noi, che vuole parlarmi, è questo l'errore, vuole parlare non parlarmi.
Mi sono massacrata all'ombra dei miei pensieri, mi sono rovinata, nel silenzio della mia mente, ho trattenuto tutto ciò che sentivo per catalogarlo e dargli una collocazione, per poter crescere e migliorare. Ho buttato via tanto di quel tempo, stando dietro a queste logiche insane.
Niente capita mai per caso, tutto ha valore assoluto. Eppure gli esseri umani non sono formule scientifiche, non sono trattati di economia, gli esseri umani sono esseri viventi, che agiscono per volontà ma anche per istinto.
La mia misura è la mia, misuro tutto con me stessa, non direi mai a nessuno frasi offensive senza un perché, lo faccio, ma è sempre dettato da un perché, non mi comporto mai male con qualcuno senza un perché, il perché c'è sempre, dietro ad ogni mia parola e ogni mio atteggiamento, e questo io cerco negli altri: il perché come se non mi bastasse l'arrovellamento cerebrale che caratterizza i miei stati di veglia e di sogno.
E' mai possibile, che dietro ogni persona, io debba cercare il suo volto bambino, il suo dolore in un'infanzia che lo ha caratterizzato?, nessuno, io credo, sia immune da una ferita cagionata in tenera età, nessuno è così com' è per caso. Tutti noi, ci portiamo dietro una infanzia, un passato o stralci di esso da dimenticare, ma non ce la facciamo e allora l'odio per quel trascorso esce fuori da noi quando siamo feriti, quando ci sentiamo soli, quando ci sentiamo quei bambini addolorati.
Tutti noi, abbiamo avuto gambette leggere, tutti noi abbiamo avuto il momento del gioco infranto da un avvenimento che ci ha logorato e ci logorerà fino a che non moriremo. E questo accade perché qualcuno o qualcosa ha rovinato per sempre ciò che saremmo potuti diventare, sul nostro tronco, gli avvenimenti spiacevoli sono i nodi di legno della pianta cresciuta in un ambiente ostile.
Il vento, il sole, la neve, la pioggia, non ci tormentano come invece puo' rovinarci, un passato inenarrabile o irraggiungibile dal nostro animo quotidiano, ma che spalanca le fauci, quando meno ce lo aspettiamo, e lì il perché  lo sappiamo, lo tocchiamo con mano, ne sentiamo l'odore e vorremmo salvare quel bimbetto ignaro della vita, degli uomini, della morte e della vita.
Eppure c'è chi ce la fa,  nonostante questo passato, nonostante i vari dolori adagiati dentro di se', ce la fa ad essere uomo tra gli uomini, c'è chi ce la fa a trovare se stesso e sanare quel bimbo dimenticato.
C'è chi ce la fa, senza essere tronfio, senza mostrare agli altri la loro piccolezza, c'è chi ce la fa e rinasce ed è migliore di noi, di noi tutti. E ce ne accorgiamo, lo annusiamo, come fiere abbisognose di sangue, siamo pieni di invidia e rabbia per chi ha placato la bestia dentro di se'.
Questa la miglior ricchezza umana, superare i travagli di una vita dolorosa per renderla vita vera.
Il perché non te lo domandi più, sai già perché e con il tuo sguardo, vorresti comunicare agli altri ciò che per te è ora normalità.
Perdona tutti, solo così perdonerai anche te, sopravvivvi alla tua dolorosa esperienza, solo così vivrai, non piangerti addosso, per qualcosa che forse è stata la ragione essenziale del tuo essere al mondo, avvicina il cuore ai tuoi simili e non aspettarti ciò che neanche da te ti aspetti.
Torna da quel bambino, riempilo di baci e sussuragli nelle orecchie: "non sei solo, ci sono io".

venerdì 10 febbraio 2012

Chi dicono che noi siamo?

La neve, la crisi, l'isteria collettiva di cercare beni di prima necessità, l'arroganza della gente, l'ignoranza, la dabbenaggine, il freddo, l'assenza di interlocutori, film senza trama, libri senza sostanza, musica già sentita... Che silenzio in giardino alle quattro di notte, mentre la neve pesante si deposita sulle superfici piane, sugli alberi, sui davanzali e sulle nostre coscienze. Potrebbe essere un buon inizio, la scenografia c'è, c'è anche l"atmosfera e la natura, vorrebbe così dimenticare chi è l'uomo e i suoi peccati. Una sorta di battesimo urbi et orbi. Ma il racconto non parte... Solo la neve continua il suo operoso divenire. Sono così distante dal genere umano da averne la nausea, sono così triste e desolata da sentirmi addosso soltanto il peso dei ricordi. Ricordi stellati di me fanciulla, piena di gioia e di voglia di vivere... Che tenerezza quella ragazza dal cuore gonfio d'amore e di sogni. Abbracciava gli altri quella ragazza ed era convinta che tutti i cuori battessero all"unisono. Il dramma più grande è che ancora quella splendida fanciulla, ferita, dilaniata, dolorante, di tanto in tanto fa capolino nei miei pensieri e mi invita ancora a non indugiare, ad abbracciare gli altri, ad amarli. Guardavo ieri un film non ben riuscito di Kavin Spacey: l'inventore; c'era un dialogo che mi ha spezzato in due... Perché era vero, perché è una certezza e descrive appieno il mio essere in prima linea in questa guerra di ignoranza, sottocultura, depravazione e autolesionismo. Il protagonista uscito da prigione dopo otto anni, ha come posto di lavoro per la riabilitazione quello di addetto alle vendite in un centro commerciale, riesce a perdere il posto il giorno stesso, ne parla con una amica della figlia e lei dice: non preoccuparti, era certo che accadesse, lì, in quei posti, ci lavorano i derelitti! Così la frase è implosa nel mio cervello e sono sgorgate lacrime e dolore. Il film era finito lì, quella frase è vera come la neve che cade, quella frase ha gelato le mie parole e la mia stessa esistenza. Lo sapevo, ma trovavo attenuanti... Eppure le persone che fanno spesa in quei posti hanno la stessa sensazione dello sceneggiatore del film: siamo dei derelitti, quindi possono trattarci come meglio credono, senza alcun rispetto, senza un minimo di educazione... La manovalanza delle nuove piantagioni di cotone siamo noi, e noi siamo in prima linea e abbiamo in mano la temperatura del cuore umano. Gelido avvizzito senza alcuna conoscenza, senza un minimo di cultura e sensibilità. Allora i sogni della ragazza, il suo donarsi, il suo essere sempre vera, a cosa è servito, se non a essere notata come una delle tante derelitte da immolare nelle cattedrali del consumo? Il pacco di pasta è capace di dare più informazioni di quanto possa esserne capace di fare un subumano, frequentatore di laidi e sconci universi del pensiero: Isola dei famosi, Grande fratello, Uomini e donne, Amici, X factor, i telegiornali, gli approfondimenti, il furioso Orlando e il cyrano de bergerac di preziosi.  Il mio reality lo vivo al grande centro commerciale e mi capita spesso il tugurio, la nomination, nonostante tutto, ho sempre paura dell'eliminazione.

mercoledì 18 gennaio 2012

I muscoli del capitano


Titanic

Ho letto in giro, molte parole in merito alla non eroicità di De Falco, che se fosse stato sulla nave forse sarebbe stato come Schettino, che noi tutti siamo Schettino e noi, che puntiamo il dito, lo facciamo solo perché ci serve un capro espiatorio, perché la storia italiana è piena del buono e del cattivo, ché il popolo italiano ha bisogno di crearsi miti perché deve raccontarsi che non tutto va buttato. Ho letto che gli eroi sono quelli dell'Odissea e dell'Iliade, non un De Falco che, invece, stava facendo solo il proprio dovere. Che in Italia, basta fare il proprio dovere e si diventa eroe.

Io non sono comandante, non ho lo stipendio di un comandante e non ho fatto corsi per diventarlo. Dovrei misurarmi col mio sangue freddo, per sapere se sono o non sono capace di atti eroici, ma non lo devo fare e penso, fortunamente non lo devo fare, ho un misero stipendio, non ho in mano la vita di migliaia di persone e dallo svolgimento di esso, non ho alcun rischio.
Quindi, io, sopra questi tasti posso dire che Schettino non è un eroe, posso dire che Schettino non ha fatto il proprio dovere, che è lui, il colpevole delle morti sulla Concordia, e che è venuto meno a un codice d'onore che è scritto oramai nei cuori di ognuno di noi, quello che il comandante non lascia mai la sua nave. Una intera letteratura ha impresso nei nostri occhi e nelle nostre orecchie questa immensa figura onorevole e eroica del comandante di una nave, di un vascello, di un veliero.
E non c'entra nulla, che io abito in Italia, perché tutto il mondo ha detto che De Falco è un eroe, non  lo hanno detto soltanto gli sciocchi italiani, che, basta che uno faccia il proprio dovere e diventa eroe.
E' facile,  invece, fare il giornalismo in Italia, è facile scrivere tutto e il contrario di tutto, tanto sulla poltrona che ci vuole? Non certo eroismo, e da quel trespolo che molti di loro abitano per le stesse ragioni grazie alle quali Schettino fa o faceva il comandante, e, dicevo, da quel trespolo, sentenziano, vomitano e dicono boiate, giusto perché quelle righe le devono riempire. E allora, sulla Tragedia della Concordia si può fare del cinismo, che ci vuole!. Ad essere cinici non ci vuole niente, basta far  diventar nazional popolare e qualunquista qualsiasi parola che evochi il senso di patria, di fratellanza di amore di eroicità, basta che questi yesman, giornalai-isti, dicano che questo o quello è nazional popolare e tutto e dico tutto va a puttane.
Non si fa del cinismo sulla pelle degli altri, non si commentano i fatti senza pensare, come quando si soffre di eiaculazione precoce. Non si parla della nave-morte, come a un paragone con il paese alla deriva, nessuno si deve permettere, di levarci anche la possibilità di commuoverci, di stizzirci di arrabbiarci, di protestare, di amare, di lodare, solo perché si ha il patentino da giornalista ricevuto per meriti politici, conoscenze clientelari o grazie ai tanti soldi in tasca o solo per il gusto di essere bastian contrari e aumentare le vendite della propria testata o aumentare l'audience.
Voglio sentirmi fiera di annoverare, tra il meraviglioso genere umano italico, individui come De Falco, voglio inolgoglirmi di fronte al plauso che tutte le più grandi testate del mondo hanno reso al comandante De Falco (tutti ammalati di italianità a voler fraternizzare con le idee di alcuni giornalai), voglio incazzarmi, non perché mi serve un capro espiatorio, ma perché voglio indignarmi con un uomo che si chiama Schettino che non conosco che forse è pavido come me, ma ricopriva un ruolo che io neanche mi sogno di ricoprire e che per questo ha un conto in banca totalmente diverso dal mio. Io posso essere pavida lui no!
Non cambiamo le carte in tavola e basta, basta a scorreggiare con le dita e con la bocca. Scrivete come veri giornalisti, salite a bordo CAZZO!