Lemon B & B

Lemon B & B
Dadà e la casa di terra innevata

martedì 27 settembre 2011

La notizia! Qual è? GAETANO FERRIERI



I neutrini sono più veloci della luce, niente di certo ma pare che i risultati dell'esperimento Opera, siano sensazionali. Le intercettazioni telefoniche del premier e tarantini sono leggibili ovunque, chi non le conosce è solo perché non le ha volute leggere. Che la manovra sia un ulteriore torci budella per noi che le budella ce le abbiamo perforate, è un'altra notizia notissima.
Del presidio ad oltranza davanti a Montecitorio non si sa nulla.
Perché?
Gaetano Ferrieri, dovrebbero essere l'uomo del momento, si dovrebbe parlare di lui in ogni luogo, invece, non accade.
La sua lotta, che è poi il mettere in pratica ciò che noi diciamo dal droghiere, in fila alle poste, mentre si mangia e si cambia canale, mentre commentiamo le ultime notizie della nostra laida politica, dicevo, la sua lotta non è menzionata mai. Solo chi ha tanta sete di verità e spulcia e cerca nella rete, trova il suo nome.
Gaetano Ferrieri, e piano piano sotto la ricerca google, appaiono tutte le sue lotte, tutto quello che sta dicendo e facendo concretamente, ripeto concretamente da molti mesi.
Blob, alcune sere fa, ha mostrato alcune scene del suo operato, solo blob, solo blob.
Eppure quello che fa Ferrieri, e il suo gruppo che diventa di giorno in giorno sempre più nutrito, dovrebbe essere la notizia che più ci interessa, dovrebbe essere il TG che in ogni momento dovremmo guardare.
Come al solito, la vera notizia, non c'è. E noi pecoroni, continueremo a lamentarci e a imprecare usando le solite frasi stereotipate che qualcun altro ha confezionato per noi.
"Gli italiani sono così, non si sono mai saputi ribellare"
"Quei porci che guadagnano in un mese quanto io riesco a guadagnare in un anno, non se ne andranno mai"
"Che faccio da solo? ci vuole un gruppo organizzato!"
Scuse, tutte scuse, sono tutte scuse.
I mezzi e le persone giuste ci sono, fare qualcosa si può, ma quanto ci piacciono le scuse.
Fosse per me chissà cosa farei... diceva Giorgio Gaber, scimmiottando il modo di parlare e di pensare di chi rincoglionito dai mass media e dal pensiero dominante, si esalta sul nulla della sua esistenza ipotizzandone un'altra a lui favorevole in cui possa riscattarsi.
Mi domando, ma non siamo stufi?
Sicuramente no, non abbastanza.
Vogliamo che danzino sul nostro petto un tango forsennato, vogliamo che i nostri figli non abbiano futuro, vogliamo non avere più un posto dove andare, vogliamo non poter più pensare, non vogliamo vivere il presente e neanche ipotizzare un futuro. Inseriti come siamo, nell'ingranaggio esistenziale creato per noi, siamo pedine meccaniche da oleare per far fruttare chi l'ingranaggio lo usa a suo piacere.
Siamo mortificati, non abbiamo più dignità, non abbiamo pensiero, ma intanto pensiamo... ma a cosa? a cosa pensiamo? 

Vado a lavoro
porto il bimbo a scuola
vado in palestra
vado a depilarmi
quella c'ha un culo!
stasera a mangiare la pizza
ci sentiamo su fb
ti ho taggato
lo ho taggato 
li abbiamo taggati (e tutta la declinazione del verbo... inglese)
accendo la TV
gioco con la x box
ti telefono
ti messaggio
hai letto le intercettazioni? che schifo, ma come fa a quell'età? prenderà sicuramente qualcosa
ritorno in palestra
c'ho l'amante, speriamo che mia moglie\marito non mi scopra
vado a dormire...

ecco a cosa pensiamo,  c'è chi pensa un po' di meno di questo che ho scritto sopra e qualcuno che pensa qualcosina in più, ma non diciamoci cavolate, non ci prendiamo in giro... ci hanno tolto tutto e lo abbiamo permesso, siamo rimasti così: inermi, ci siamo lasciati trasformare ci siamo lasciati intorpidire.
Non sappiamo cosa sia la decenza, non sappiamo cosa sia la  morale, non sappiamo cosa sia giusto o sbagliato per noi, non sappiamo riconoscere il prossimo, non sappiamo parlare, non sappiamo amare, non sappiamo neanche più soffrire. E soprattutto nulla più ci sorprende.
Anestetizzati.
Sveglia!
La data è il 12 ottobre, vi posto due link:




mercoledì 7 settembre 2011

Ludovico Einaudi e lo scroll


E' stranissimo, sono collegata su facebook e leggo i post che arrivano sulla mia home. E' incredibile, ho le note di Ludovico Einaudi nelle orecchie "Andare" il pezzo, e mi lascio cullare dal mare increspato del web.
Guardo le immagini che si susseguono incessantemente, lo scroll, sembra un film, sembra quelle sequenze in cui, il regista decide di togliere il sonoro per mostrare ancora più con vigore immagini di morte e di solitudine. Questo accade davanti ai miei occhi. Immagini di uomini in piedi di fianco a una bandiera arricciolata con il sole cocente di fronte agli occhi, che cerca di dire qualcosa a un paese sordo muto e cieco, sono davanti a Montecitorio, e a fermare il nulla che sembra graviti attorno a loro, visto che nessuno ne parla, ci sono i blindati, forze di polizia, a rendere il tutto surreale e nichilista.
Ecco apparire, la foto del presidente, non mi va neanche di scriverne il nome, deriso e strattonato continuamente, ma in quelle foto egli ha sempre il sorriso finto dei suoi show delle sue bugie, delle sue escort e dei suoi quattrini. Quasi inattacabili, quelle sue pose, hanno lo schifoso meccanismo di azzerare tutto ciò che c'è scritto accanto, tutto diventa macchietta, tutto diventa luogo comune, tutto diventa amenità di fianco, sopra o sotto quella immagine trita e ritrita.
Poi, nel mio scroll silenzioso con sottofondo Einaudi, si affacciano fotografia di tacchi a spillo, di tre o quattro ragazzine, sì loro inconsapevolmente consapevoli preferiscono fotografare le loro scarpe, atto, questo, volto a suggellare il loro patto-battesimo con il nulla che assorbirà le loro personalità da qui ai prossimi quarantanni.
Tornano immagini della Libia, non riesco a leggere il titolo che subito sono soppiantate da cinque facce di ragazzini strafatti che ballano in qualche discoteca "artificiale" della riviera adriatica. E le immagini si sovrappongono quelle braccia alzate al cielo, sono lo stesso urlo di dolore di quei ragazzi-guerrieri in Libia.
Ecco un immagine dell'ecce homo, che però è un lavoratore, uno di noi, dopo la manovra di questi giorni. Queste immagini sono violente, l'unico riparo per il mio sguardo è la musica sublime di Ludovico Einaudi, "March" di Wendy Carlos,  variazione sulla Nona Sinfonia di Beethoven, era per Alex di "arancia meccanica" il riscatto al dolore dell'uomo, questa musica lo diventa per me, potrebbe far sciogliere amanti, potrebbe accarezzare la nuca di un uomo che guarda il tramonto, potrebbe sottolineare un momento di abbandono, ma ascoltata con le immagini dell'informazione del mio scroll su facebook, diventa rabbiosa, quasi una tortura. (guarda il video: http://www.youtube.com/watch?v=Fcp3U36fhjM )
Provo: clicco su più recenti, si boicottano le multinazionali, Valentino Rossi piegato percorre una curva in orizzontale, poi ecco qualcuno posta una canzone... fermo qui il dolore, fermo in questo attimo la mia perversione, canta Vecchioni la posto qui.

http://www.youtube.com/watch?v=FxgxtlGZWvw

Quindici giorni di sciopero.


Ieri sera, mia figlia ed io abbiamo assistito all'accoppiamento di due lumache, è stato incredibile, era una danza con veli, tutto era argento e colore della terra, ci siamo strette una all'altra e cercavamo di capire cosa stesse succedendo, uno spettacolo solo per noi, erano attaccate al loro filo a testa in giù, lungo una colonna del mio porticato. Mentre stanotte ripensavo a quelle due lumache e allo spettacolo che ci avevano regalato, è arrivato di lato un altro pensiero, quello dello spettacolo innaturale che noi esseri umani, invece sappiamo regalare.
Ho pensato a come noi, fossimo così lontani dal creato rispetto a quelle due lumache eteree. Ho riflettuto tutto il giorno su quello che stava accadendo in Italia, nel mondo, nel mio posto di lavoro, tra le gente che conosco.
E non c'entravano niente le lumache, erano distanti anni luce. Il loro spettacolo si affievoliva mano mano che pensavo alla nostra grande attualità.
Attualità, una parola grande, troppo nuova, se ci si riferisce al mondo di oggi e agli uomini di oggi. Siamo tornati al primitivismo, senza però avere la spinta alla conoscenza che i primitivi avevano. Essi, infatti, creavano oggetti, per utilizzarli, perché a loro occorrevano, essi, i primitivi, vivevano l'oggetto. Noi oggi siamo vissuti dagli oggetti e dalle nuove conoscenze, non ce ne appropriamo, anzi ci lasciamo condizionare l'esistenza e la dignità.
Per qualsiasi oggetto, ancor più se tecnologico, siamo disposti anche a mangiare pane e sputo, ma per la nostra dignità non siamo disposti a fare nulla.
Eppure non sarebbe difficile riappropiarci del nostro destino, basterebbe togliere dal nostro budget il costo di un televisore o di uno smartphone e tutti insieme riusciremmo ad alzare la voce così forte da far turare le orecchie a chi non vorrebbe ascoltarci e non ci ha mai ascoltato.
Le industrie, le banche, le multinazionali, il potere, hanno capito come si fa ad indirizzare le masse. Bastano quattro messaggi in croce, creati da creativi, (così chiamano i pubblicitari, che di creatività non hanno nulla), e noi sentiamo dentro di noi bisogni che non avremmo mai voluto sentire, che non pensavamo neanche di avere. E siamo fritti, cervello fritto, sensibilità fritta e coscienza obliata.
Basterebbe fare poco, basterebbe soltanto che dentro di noi, riuscissimo a sentire il vero bisogno dell'uomo, quello di dignità, rispetto, riscatto, basterebbe che i bisogni li imparassimo a leggere dentro di noi, senza ascoltare chi ce li confeziona per farci gregge.
Non sarebbe, allora, nulla impossibile, e lo sciopero di un giorno non ci basterebbe, capiremmo che solo per un lungo periodo potremmo dare scossoni alle tasche di questi uomini fatti solo di tasche, i signori della nostra politica che poi è la nostra vita. Quindici giorni di sciopero ad oltranza, sarebbero una pestilenza, una carestia per chi vive sulle nostre spalle, per noi equivarrebbe al costo di un televisore, che è anche il costo della nostra dignità, valiamo pochissimo... per loro, invece, sarebbe uno sfacelo, una rottura peggiore di una rivoluzione.
Ma questo la signora Camusso, lo sa, non potrebbe mai succedere, nessuno rinuncerebbe per i propri diritti e per i diritti dei propri figli a mezzo mese di stipendio, solo perché non ne sentono il bisogno, e allora non sa come chiederle queste quindici giornate di sciopero.
Sarebbe bello, essere uniti, sotto una sola campana, quella della solidarietà e della dignità. Uomini italiani, persero la vita per questi motivi non più di cinquantanni fa, noi dovremmo solo rinunciare a metà dello stipendio. Quella metà dello stipendio, non andrebbe a nessuno, la toglieremmo solo a noi, causando però nei privilegiati, forti fortissimi disagi.
Potremmo chiedere aiuto a organizzazioni no profit, per garantirci nei quindici giorni di dolore e di riscatto, un pasto caldo e viveri di prima necessità, colpiti nei diritti umani, ne avremmo tutte le ragioni, ma poi, saremmo ricattabili anche da queste ultime? Non ho più fiducia nell'essere umano quando si cela dietro organizzazione seppur umanitarie.
A noi, uomini e donne del 2011 non serve Mosé, non occorre che qualcuno raggiunga il monte e ci dica che ha ricevuto le tavole, non occorre che qualcuno ci dica che stiamo perdendo la strada, lo sappiamo: è noto, rompiamo i falsi idoli che nella nostra testa ci hanno infilato, togliamo di mezzo i messaggi insulsi dei media, e recuperiamo la dignità e l'amore verso questo territorio interiore che abbiamo lasciato depredare per troppi anni.
Siamo liberi, nessuno ci costringe, la democrazia è questa dittatura, che ti fa sentire libero, ma sei più schiavo che sotto ogni tipo di tirannia. Sì, perché, con la democrazia tolgono anche la facoltà di dissentire, c'è questo stato di torpore che si annida dentro di noi e nei nostri rapporti personali. Eppure liberi lo siamo davvero.
Non è difficile, questo è un urlo disperato senza voce, basterebbe fare come le lumache, far l'amore e danzare in mezzo a opalescenze e colori lunari, occorrerebbe pensare che siamo esseri umani, capaci di ogni cosa, anche la più spettacolare.

http://www.youtube.com/watch?v=VtG5Xm0S-eU

giovedì 1 settembre 2011

Ascolta la neve!

http://www.youtube.com/watch?v=eH4oGJcCzdM&feature=fvwp&NR=1
(Apritelo e leggete)

Lui: Apro le tende, voglio vedere la neve che cade.
Lei: No, per favore, resta qui, lascia che il mio ginocchio riempia l'incavo della tua caviglia.
Ascoltiamola cadere, lasciamoci la sorpresa del paesaggio per domani, centelliniamo i sensi.
Lui: Ascolto, tu parla, io ascolto e tu parla, io ascolto e tu parla.
Lei: Avevo lunghi riccioli biondi, un vestito di velluto blu, con i polsini bianchi, scarpe di coppale nere e  un sorriso rotondo, avevo tutti intorno a me, e il pianoforte era al centro della sala, il pianoforte nero, a coda, grande immenso e i miei piedini arrivavano a malapena a toccare il pianoforte. Le mie manine seguivano esperte gli insegnamenti della mia maestra, ora dopo ora, cresceva dentro me un amore forte, potente duraturo, un amore unico, mai pago, un amore disinteressato, quello per la musica.
Lui: Fallo ancora, pigia le tue dita sulla mia pelle, sulla mia schiena, fa' di me il tuo pianoforte.
Lei: Tu sei l'altro, il negativo, l'amante, il razionale, il sesso, la profanazione.
Lui: (discostandosi da lei) Non è di certo quello che mi sarei voluto sentir dire, mai, da nessuna donna mai.
(si alza, e con il lenzuolo attorno alla vita si avvicina alla finestra)
Lei: non aprirla, fidati di quello che senti, non aprirla, fidati di te stesso, fidati di me.
Lui: (immobile con un lembo di tenda in mano piega la testa verso il petto) suonami qualcosa, usa la mia schiena e suona, usa le tue mani e suona questa neve.
Lei: (allungando le dita affusolate verso di lui nella penombra) vieni, torna a letto, giaci con me, in mezzo al nostro odore, senti il mio profumo, ascolta la neve che cade, vieni vicino a me cerca ogni mio incavo, e percorrilo con le dita. Silenzio, non parlare, ascolta, fidati di te.
Lui: ma chi sei? (Si allontana dalla finestra e carponi sul letto raggiunge il viso di lei) Chi sei, chi sei, chi sei...
Lei: non è importante, è importante soltanto che sono, come tu sei, ascolta il tuo respiro, ascolta il mio, recupera il tuo tempo, svieni accanto a me e ascolta la neve che cade. Il latrato di un cane, il rumore di una carrozza sul vialetto, il rumore del letto che cigola, del legno che arde. Recupera, e assorbi, e sarai pronto.
Lui: non voglio essere il tuo amante, il negativo, voglio essere il tuo amato.
Lei: ama te stesso e lo sarai, sciogliti tra i miei capelli, annusami, raccontami, leggimi, vivimi.
Lui: ma chi sei? chi sei? chi sei?
(si rialza, arriva alla tenda, sta per aprirla... ma si ferma e annusa l'aria, lei in ginocchio sul letto nuda, lo guarda con aria sorpresa, lui si gira, e lascia cadere la tenda di nuovo, le prende le mani, si alzano e sul letto in piedi ballano, ballano e poi ballano e poi ancora ballano, la stanza gira con loro, i loro corpi sono sudati, lei ha la schiena completamente curva e i capelli toccano i polpacci e lui la tiene per la schiena e lei sembra spezzarsi tra le sue braccia, l'inverno di Vivaldi risuona nelle loro orecchie in mezzo al silenzio della neve che cade).
Lui: com'è potente la vita, come è forte l'emozione, cosa c'è di più bello del suono della neve che cade, cosa mi hai insegnato in questa notte di freddo? Mi hai insegnato a respirare, mi hai insegnato l'emozione, mi hai insegnato la vita, mi hai insegnato chi sono, cosa posso provare e come posso fidarmi di me. Mi hai insegnato la gioia, la spensieratezza, il delirio, l'estasi. Ora posso aprire la finestra?
Lei: (con gli occhi in mezzo ai ricci) sei egoista, non puoi aver ascoltato il suono della neve. Non serve mentire a chi di menzogna non si nutre, non serve incantare chi di magia non se ne intende, serviva che tu fossi te stesso, un grande attore sei diventato, non posso fare altro, che andarmene.
Lui: no no no, eccolo il suono della neve lo ascolto, non andare, sono pronto non mi vedi?, sono qui, senza aprire le tende, aspetterò fino alla morte e arriverà il paesaggio di neve davanti ai miei occhi, non andare, so che nevica ne sento l'odore non andare per favore, resta qua suona il pianoforte con i tuoi ricci biondi di bimbetta, ridi contenta, sono qui, sono io colui che cercavi, la sento la neve... (la neve... detta senza alcuna convinzione).
Lei: non basta rispondere, per essere veri, non basta produrre echi per sembrare se stessi, non occorre nulla, solo ascoltare, non ne sei in grado, non suonerai mai, me ne vado, vai pure alla finestra (mentre dice questo si veste), apri quella tenda, guarda quel tuo piccolo vialetto, e poi torna a letto da solo, ad aspettare che arrivi la pioggia, per poi guardarla di nuovo battere su quel tuo stupido vialetto, poi torna a letto e aspetta che arrivi il sole, e poi alzati e vai a guardare alla finestra quello stupido spicchio di terra del tuo stupido vialetto, non c'è altro spazio per te, se non per te stesso e la tua pochezza... (aprendo la porta)
Lui: (incattivito, perché intercettato nel profondo) ora dove andrai troia, dalle dita che suonano?
Lei: ad accordare un altro pianoforte... suoneremo cadere la neve. (chiude la porta)
Lui: (a bassa voce) no resta, resta resta resta resta (ossessivo) (poi velocemente si avvicina alla finestra, apre la tenda e c'è una finestra chiusa, c'è il muro e l'intonaco, lui si piega in ginocchio lì davanti e piange piange piange urlando) SIPARIO