Lemon B & B

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Dadà e la casa di terra innevata

sabato 28 maggio 2011

Il Maestro e il carboncino

"Nuovo 1" Francesco Di Tanna
Oggi, portavo Daphne a catechismo, quando davanti a una casa abbiamo letto un cartello: "Bastardi mi avete ammazzato il cane, vergognatevi".
Da queste parti essere un animale non è buona cosa. Ammazzano cani, gatti, volpi, fagiani, come se niente fosse.
Daphne ha letto il cartello sussurrando, poi silenzio. Poi, dopo un po': "mamma, questo è successo a Golia e a Davide?" le ho detto subito di no, ma sono certa che hanno fatto proprio quella fine.
Le ho spiegato che, Davide e Golia, erano andati ad abitare con le loro mogli... questa storiella l'ho dovuta inventare alla loro scomparsa. Daphne era piccolissima, io avevo il cuore in pena, in lutto, e lei a due anni viveva in simbiosi tutti i miei malesseri. Smise di parlare per due mesi, perché il suo Golia non c'era più. Ricordo che quando voleva parlare tirava forte le labbra con l'indice e il pollice e tremando e piangendo farfugliava: "Non riecco, a fare ussire le paloline".
Mannaggia che momenti, ci inventammo, il padre ed io una fuitina d'amore, e con il tempo e smorzando dentro me il dolore che provavo, Daphne ha ripreso a parlare.
Alla sua domanda di oggi pomeriggio mi sono impaurita, e subito ho riproposta la storiella della famiglia da accudire.
Poi ho pensato anche di dirle "Golia e Davide erano Jack Russel Terrier, erano cani di razza, è molto probabile che qualcuno innamorato di quel genere di cane se li sia portati via e li curi come noi stessi facevamo".
Il discorso ha ripreso dopo un po'. Golia lo trovai ai giardini pubblici che era piccolissimo, un cane di razza perso, stetti lì ad aspettare il proprietario per tre ore e poi lo portai a casa.
Divenne mio figlio, lo portavo ovunque, sembrava un soprammobile.
Una sera, non ero ancora sposata, vivevo ancora con i miei ad Ascoli, era da poco passata la mezzanotte, portavo Golia a fare i suoi bisognini, stavo percorrendo via Gaetano Spalvieri, quando mi sentii rincorrere, io accelerai e i passi accelerarono.
Mi girai e un uomo alto, da lontano mi disse "Signorina, un attimo, voglio parlare del suo cane".
Aveva anche lui un cane al guinzaglio, Jackie, era il professor Francesco Di Tanna, pittore, professore, uomo di animo eletto. Ma io, lì, non sapevo nulla di lui, avevo solo una gran paura...Perché ste cose capitano tutte a me, devo fare finta di nulla, e assecondarlo.
L'uomo aveva l'aspetto di un artista francese, basco in testa, jeans e camicia molto giovanile, aveva intorno ai settantanni, e un volto ricco di rughe e fascino, carisma e savoir faire.
"Il suo cane è meraviglioso, vorrei farlo accoppiare con la mia... vuole?"
E' normale no? Che uno all'una di notte ti rincorra perché vuole una cucciolata di Jack Russel.
Dissi di sì. Subito.
E portammo i nostri cani a godere della loro giovinezza in mezzo a prati, li facemmo divertire e provare le prime gioie del sesso.
Nel frattempo seppi di lui, del suo mondo, dei suoi quadri, del suo amore ancora giovane verso la moglie nonostante fossero passati tanti anni.
Un uomo d'altri tempi.
Di lì a poco nacquero sette Juck Russel, e io mi presi Davide, il più timido della cucciolata.
Dissi un giorno al professore, che mi sarei sposata, si congratulò con me, era raggiante.
Ci vedemmo poco in quel periodo, io ero sempre indaffarata per i preparativi, un giorno portando Golia a fare la solita passeggiatina lo rincontrai, mi disse che aveva deciso di dare una personale ad Ascoli. Ero incredula, sapevo quanto odiasse, queste mostre prugne e pere. Ma non osai ricordarglielo, mi chiese se volevo andare con lui a casa a scegliere alcune delle tele di presentazione. Gli ricordai la mia ignoranza nel campo dell'arte, mi disse che dovevo scegliere quelle più belle seguendo la mia anima.
Incredibile, aveva la casa piena di quadri, erano appesi ovunque, non ho più visto pareti così, intrise di colori e significato.
Le guardai tutte, erano tutte sue. Mi fece vedere anche i disegni con il carboncino. Uno su tutti mi commosse. Era il profilo del corpo di una donna che era ritratta nel sonno. Aveva una mano penzoloni e il lenzuolo le risaltava il fianco destro e una ciocca di capelli era davanti agli occhi.
Era la moglie, la mattina dopo del loro matrimonio. Lei dormiva e lui la ritraeva. che forza quel quadro... ma no, mi disse quello non l'avrebbe esposto, troppo personale, troppo suo.
Guardai di nuovo tutte quelle pareti e ne scelsi uno che avevo già scelto entrando. Una città futura, intrisa di sogni, non nitida, senza contorni, delle macchie loquaci del deserto che ognuno di noi vive.
Lo indicai, si alzò, lo tolse dal chiodo, la moglie pulì il vetro con una pezzolina, e mi disse: Questo è per il tuo matrimonio... abbi una vita felice.
Ero a bocca aperta, la mostra personale era solo un trucchetto, per farmi scegliere in tutta tranquillità il mio regalo di nozze. Oggi, entrando in casa, il quadro del professore è il primo a sinistra... lo guardo tantissime volte al giorno.
Fu felicissimo di sapere che mia figlia si chiamava come la protagonista del primo libro scritto: Daphni e Chloe, me lo disse tantissime volte di leggerlo, non sono riuscita mai a trovarlo.
Arrivate davanti alla chiesa ho detto... "Golia non c'è più, Davide neanche, ma ora abbiamo le Palline" e Dadà, ridendo mi ha dato un bacetto ed è entrata in chiesa.
Ferma al volante ho continuato... "Il professore, anche, non c'è più... ma Jackie e la moglie sono ancora insieme... era quello che avrebbe voluto se avesse mai dovuto scegliere".

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