Aveva lo sguardo mezzo, era grigio come un cielo di novembre, era mezzo perché non ce la faceva a guardarlo tutto, quell'universo inafferrabile che le turbinava accanto. Ricordo come muoveva le dita, colli di cigno, aveva dita che sembravano gambe di ballerine classiche. Mentre fumava, il suo sguardo si dileguava ad ogni tirata, e le dita saltellavano insieme al turbinio del fumo.
Dormivamo insieme in una stanza della Vela ad Urbino. Compravamo spesso patatine e prosecco, e facevamo cena. Mentre l'alcol saliva, cadevano giù le nostre vesti, e ci raccontavamo tutto.
Si credeva brutta, era bellissima.
Era convinta di non meritare nulla e nessuno. La schiaffeggiai una volta per questo e le urlai addosso...le lacrime azzurre arrivarono alle labbra rosse e secche.
Dividemmo il panino a metà quando i soldi erano finiti.
Andammo in cerca di sigarette, nella sala mensa, quando c'erano solo i soldi per il biglietto di ritorno.
Ascoltammo racconti intrisi di sesso e al buio in camera ci chiedevamo come sarebbe stata la nostra prima volta.
Guardammo insieme "il grande freddo" e "il bacio della donna ragno".
Parlavamo fino a sanguinare di ogni sentimento si celasse dentro di noi.
Era la mia amica fragile.
Era il mio contrappunto.
Un'anima affine, un'affinità elettiva, una sorer.
Levava l'invidia con immensa sacralità... preparava il piatto dell'acqua e toccava la mia testa "è questa che più ti invidiano" diceva e poi accarezzava il viso, il collo le braccia, il seno e le gambe... poi quel collo di cigno del dito indice faceva gocciolare quell'olio nell'acqua: il tonfo sordo e la goccia che si spargeva. "Dobbiamo farne tantissime altre... sei piena di invidia"
Lo diceva seriosa, ci credevamo il tempo di lavare il piatto.
Facevamo l'autostop, di notte e di giorno, con la pioggia e con la neve.
C'era una tormenta di neve a Urbino quel giorno, tornavamo da lezione e nessuno passava e nessuno si fermava... lei alzò gli occhi al cielo e chiese aiuto alla divinità.
All'orizzonte vedemmo una macchina, piano piano rallentò, si fermò e lei entrò per prima... la sentivo ridere, quando entrai in macchina una tonaca occupava il posto di guida. Esaudita.
Una notte, sentii dei rumori in bagno, c'era la luce accesa e la porta era aperta, mi alzai e la vidi guardarsi allo specchio, era un'altra persona, stava parlando a bassa voce, ebbi paura la chiamai, non rispose, urlai il suo nome e il suo volto tornò quello di sempre mi guardò e mi disse "era il mio spirito guida, stavamo parlando".
Aveva uno strano modo di rivolgersi alle persone, era una timida sfrontata, e aveva uno stranissimo modo di avvalorare le sue idee.
Parlava, parlava senza sosta di un argomento, lo sviscerava, convinta del suo dire e concludeva il tutto con una grande pausa di silenzio e poi domandava seraficamente "o no?"
Preparammo insieme esami, bevemmo fino a stare male e a piangere, ci completammo e organizzamo il nostro futuro.
Chiudemmo la porta in faccia al più grande clarinettista del mondo "Severino Gazzelloni", non lo riconoscemmo, profane di musica, pensavamo fosse un vecchio balordo.
Non riconoscemmo il tizio che ci caricò ad Urbino e che ci portò fino a Pesaro, se non dopo aver preso il treno, era Ivan Graziani. "Come si sarà sentito?" mi domandava continuamente.
Era con me, quando mi rovinavo la vita al fianco di un uomo che solo dolore mi regalò, era accanto a me quando riesumai cadaveri dal di dentro, e io ero con lei a sconfiggere le sue paure, le sue timidezze e i suoi pudori.
Amica fragile, mi piacerebbe, una sera di inverno, sentire aprire la vetrata di casa, guardare l'uscio, e in mezzo al fumo rotolante del camino intravedere la tua sagoma, la tua fisionomia.
Mi piacerebbe, presentarti mia figlia Daphne, ti piacerebbe lo sò, mi piacerebbe farti conoscere la mia vita, tutta, raccontarti tutto quello che c'è stato da quando ci allontanammo, vorrei sapere che cosa ne è stato di te, come sei diventata, cosa ti agita e cosa è rimasto in fondo a quello sguardo mezzo.
Dicesti, "Con Iride ho chiuso, dice tutto, troppo in faccia, non pensa mai alla sofferenza che cagiona", mi piacerebbe sapere che dopo tanti anni, rimpiangi la mia lealtà, mi piacerebbe sapere che anche tu, come me, nei momenti di solitudine alzi il pollice e ripercorri quelle strade di Urbino con me, mi piacerebbe riabbracciarti esoterica amica.
Sappi che, ogni volta che ascolto "amico fragile", il mio pensiero vola a te. Lontana, vicina, lontana e con le dita a collo di cigno.
Gli aperitivi al bar Centrale, le mascherate a Carnevale, il sabato sera a villa Pcciò, il giro di do e una sorsata di vino novello. Alle nove di sera l'appuntamento era a metà strada, tra la clinica San Marco e via Serafino Cellini, sopra la vespa io e tu in piedi a raccontarmi tutto quello che non avremmo potuto dirci dormendo.
Mi manchi Franca, eppure con quel nome avresti dovuto e potuto apprezzarmi!
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