Chi è lo scemo del villaggio? Spesso in una comunità viene additato un personaggio, e poi lo si schernisce e alla fine lo si guarda con aggiunta di scrollata di spalle.
Mi è capitato un paio di volte, da quando sono al mondo, di trovarmi di fronte allo scemo del villaggio, senza sapere che lo fosse, senza pregiudizio alcuno e ho trovato in entrambi i casi uomini ricchi di conoscenza, di sapere, fuori dal comune, sopra le righe, originali e arricchenti.
Non so se in passato fosse così, ma mi vien voglia di asserire che oggi, lo scemo del villaggio è colui-colei che CONOSCE.
Quando ho conosciuto Luciano, lo chiamerò così ma non è questo il suo nome, mi ha affascinato subito il suo modo di guardare gli altri, sempre con aria sognante, pensante.
Aveva occhi tristi, dietro ad occhiali spessi, un braccio a toccare sempre l'altro come se si sentisse solo senza quel contatto. Si sentiva solo senza se stesso.
Parlava pacatamente con lunghe pause, e certo è che per chi ha fretta non è il conversatore ideale.
Sprigionava spesso parole cariche, dense che bastavano già da sole, senza comporre frasi.
Non aveva orpelli, era essenziale, un uomo post moderno, post globale, un reduce, un sopravvissuto a quello a cui noi non sopravviveremo.
Parlai molto con lui, e imparai moltissime cose, di nuove e di vecchie. Sviscerammo insieme esperienze nostre e altrui. Non aveva mai commenti banali, era sempre originale non per edonismo; per esistenzialismo.
"Avevo le chiavi del bagno, li accompagnai a cambiarsi, e fecero l'amore lì nel bagno, con me dietro la porta".
"Ho buttato giù due righe" erano cinquanta pagine, di scene per un corto. Suggestive immagini, che non occorreva più neanche riprendere con una telecamera, minuziose, doviziose.
Mani che piluccavano cibo, collo di donna a una scrivania, occhi talmente vicini all'obiettivo da farli entrare dentro chi guarda. Donna comoda al divano, che legge un libro, le piace è affascinata dal personaggio, dalla descrizione di un ambiente, e si sorprende a trovarsi in altra dimensione, in un passato mai avvenuto, che mai più arriverà.
Luciano, rideva soltanto quando parlava con mia figlia Daphne, la guardava negli occhi e parlava con lei la voce dei bambini, si capivano, la sua personalità cambiava in maniera radicale e in una frazione di attimo tornava a parlare con me, a guardare il mondo degli adulti e riassumeva i suoi lineamenti strani, originali, diversi.
Ho avuto paura, e ho smesso di frequentarlo.
Non ho avuto paura perché era lo scemo del villaggio, ho avuto paura come chi ha paura perché sa che perderà. Ho avuto paura di affondare la mia completa esistenza nel marasma degli animi straziati. Ho avuto paura di imparare a guardarmi sempre dentro, a non smettere mai, a prendere sempre tutto sul serio. Ho avuto paura e con la stessa semplicità con la quale lui si è donato a me, si è allontanato. Senza dovergli dire, urlare, sussurrare nulla. Si è allontanato toccandosi il braccio con il braccio, per non sentirsi tanto solo.
Ieri ho incontrato un altro uomo, che scemo del villaggio lo è solo per gli imbecilli del villaggio.
Lui sa di essere visto così, un po' matto, che non ci sta tutto, lo sa perfettamente e credo che non gli faccia male affatto.
Anzi se la ride, si beffa di chi ha già tirato le somme su di lui.
Mi ha raccontato in poche ore, cosa è stata per gli americani la Silicon Valley, mi ha raccontato di Google, mi ha spiegato l'elettronica e l'informatica. Aveva gioia negli occhi, studia più di otto ore al giorno questi argomenti e non è mai sazio.
Lo scemo del villaggio, è una persona ricca di interessi, di conoscenza e di cultura. Facevo domande, mi interessavo e avrei voluto sapere ancora.
Non credo si dia così facilmente, anzi, sono anni che lo conosco, e mai avrei immaginato dentro quest'uomo, una simile voglia di vivere e di dubitare.
Intelligente, geniale, sorprendente.
Tristemente, tutto il giorno, ho pensato a quante persone ho avuto occasione di sfiorare senza mai conoscerle veramente. Ho pensato ai talenti che ognuno di noi possiede. A come restano sopiti, a come non vengano espressi e a come li cancelliamo comprando e mentendo.
Ho avuto lacrime per Dino Campana, lo splendido matto del villaggio... la stella cometa che adesso casca. Ho avuto amore per Alda Merini, per Sylvia Plath e come uno squarcio ho capito che Dio si rifugia proprio dove non v'è certezza, che l'infinito è dentro ciò che di finito non ha nulla.
Ho capito che, hai voglia a metterti giacca e cravatta, o a farti interventi di chirurgia estetica, botulini, capi sartoriali, sei solo un simbolo di precarietà, di obsolescenza di finitudine e di nullezza.
Bel pensiero Iride...
RispondiEliminaMi hai fatto pensare a tanti "arrovellamenti" e altrettante situazioni vissute e spesso fuggite.
Mi hai fatto ripensare a queste parole di Guccini..
"Ma non ho ancora capito, fra risa per donne e per Dio,
se fosse lui il disperato o il disperato son io...
Ma non ho ancora capito con la mia cultura fasulla
chi avesse capito la vita chi non capisse ancor nulla.."
Ciao,
Walter
Bellissimo pezzo Iride !!!! Gli scemi del villaggio spesso sono solo individui dalla personalità e dall'emotività diverse, costretti a prendersi la patente da matti per poter vivere la vita a modo loro, senza conformarsi alla società che ci... vuole tutti uguali e automi.Di solito sono persone emotive e con un loro mondo interiore a cui è difficilissimo avvicinarsi perchè restii a farlo conoscere. Ma se riesci a carpire la loro fiducia puoi scoprire un mondo completamente nuovo e puoi vedere la vita da un'altra prospettiva ! Sono persone che hanno molto da dare e che ti arricchiscono ma solo se sei disposto ad ascoltare e ad aprirti al loro mondo !
RispondiEliminaCiao, Paola Tavoletti
MI PIACE
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