Le due di notte, ti scrivo perché posso, solo così raccontarti. Non so se spedirò mai questa lettera mille volte ricominciata, non so se mai leggerai quello che forse tra poco scriverò.
Ho letto tutta la Recerche du temp perdu, l'ho riletta più volte in questi balzelli di tempo. Ho letto Caligola di Camus, che poi da queste parti hanno dato a teatro e sono andata a vederlo.
Vedi ho seguito i tuoi consigli, e tutto e niente è cambiato.
Che sapore ha l'aria di Erice d'inverno? E poi, tokio go, alla fine, io non l'ho capito tutto.
Come non ho capito molto di quello che mi dicevi.
Parlavi una lingua strana. Lontana, come lontano era il paesaggio che mi mostravi.
Parlavi la lingua raffinata di chi è abituato a domandarsi sempre.
Non potevo e non posso immaginare che esista una persona come te, ma è vero che ci siamo conosciuti?
Sembrava, in quei giorni torridi d'estate, che ogni volta che parlassi tu aprissi un libro, e leggessi.
Invece raccontavi il tuo mondo interiore, scusa, se sono stata poco loquace, ma ero troppo intenta a capire quello che mi avevi appena detto, quello che volevi significare, a imparare, a godere dei tuoi virtuosismi lessicali e mentali.
La processione, quella notte di mezza estate, il nugolo di persone che arrivava a piedi. Vedemmo sorgere la processione, dal buio della notte camminavano in preghiera, e all'alba arrivarono davanti alla chiesa che sembrava un minareto.
E mi raccontavi della laicità della tua terra, della sacralità dei tuoi conterranei, con convinzione, con amore, con odio... ma non saprei mai ridire quello che dicevi ne assaporavo solo l'essenza.
Mi hai spiegato il contrappunto. Abbiamo guardato il tempio greco e mi hai spiegato perché fu costruito proprio lì, il tempio, la costruzione umana, la materia e sotto di esso il burrone, il precipizio della natura... il contrappunto delle costruzioni greche. Quasi a voler sfidare la natura, forse a volerla sfidare proprio, ecco di cosa è capace l'uomo, si innalza più di quanto la natura riesca a sprofondare. A te divinità: un tempio contrappunto di ciò che hai creato, quasi a voler canzonare le capacità divine.
Avevo mal di testa, e cercavo di capire quello che dicevi.
E' che tu non hai dentro te lo spazio, dicevi.
Troppa storia nella tua città, anche gli spazi sono dedicati alla scansione del tempo. Colline lavorate a seconda delle stagioni, niente lasciato alla forza brutale della natura. Nulla assorbito dallo spazio senza il maledetto tempo.
La Quintana, rievocazione storica, il carnevale a voler rimarcare il tempo e il presente, il travertino, le chiese, i san pietrini... c'è troppo tempo dentro te... hai mal di testa perché qui c'è troppo spazio.
Ho pensato molto a questa affermazione, e ho capito cosa significa non alzare mai gli occhi perché si conosce già lo spazio attorno, significa non avere l'imprevisto della mancanza di quotidianità, vuol dire non essere stupefatti, vuol dire livellarsi all'andamento lento delle stagioni, degli anni, dei lustri... come se il tempo controllasse ogni nostro movimento, ancora meno liberi, meno sognanti e troppo inquieti.
Parlavi del compiacimento, ogni frase detta da qualcuno lo era.
Tutti alla ricerca di compiacimento o di autocompiacimento.
E ho imparato a quanto davvero avessimo tutti sempre bisogno di incoraggiamento, anche in frasi nascoste, in atteggiamenti contrari, in ogni essere umano c'è sempre la necessità di essere capiti, scusati e amati dagli altri.
Di questo occorre liberarsi, per essere davvero uomini.
Odio il compiacimento, quando si ricorre ad esso, non si è più uomini, si diventa laidi, finti, ignoranti e avidi.
Se ci si nutre di compiacimento, poi, non si fa altro che volerne.
Termina lì l'intelligenza umana... dove inizia il compiacimento.
Oggi a distanza di anni, capisco cosa significasse questo tuo punto fermo.
Significa rimanere se stessi dinanzi a complimenti, significa non perdere di vista i propri obiettivi, significa non scendere a compromessi, significa passare dall'autocompiacimento alla stima verso se stessi. Non c'è da fidarsi di chi cerca compiacimento... come avevi ragione.
Parlasti di poesia, della brutalità delle sue parole. Mi raccontasti di come fosse simile a un percorso di montagna, che ad ogni curva, ti lascia senza fiato il paesaggio che ti si presenta dinanzi. Parlasti di come fosse spontanea e vera, e come di contrappunto fosse invece falso e costruito il poeta.
La poesia non ha bisogno di interpreti... il poeta sì. Ha bisogno di interpretare gli altri, ha bisogno di compiacersi, ha bisogno di sudditi e proseliti e più ne ha bisogno e più la poesia che esce dalla sua mente è vera. Odiavi i poeti... avrei voluto chiedertelo “una poetessa ti ha straziato l'anima?” sarei sembrata banale e non lo feci mai.
Ogni volta che pensavo di dirti qualcosa la centellinavo, la raffinavo e la rendevo originale, ma quasi mai ebbi il coraggio di dirtela.
Spesso, ora, quando scrivo utilizzo la stessa tecnica...la penna può anche cancellare.
La strapperò questa mia, anzi farò di peggio la posterò in un blog, termine della tua tanto odiata tecnologia, navigherà in rete, termine da te tanto odiato da farlo diventare obsoleto.
Sarebbe compiacente questa lettera ai tuoi occhi? O ti compiaceresti a leggerla?
Non importa, proprio per non disturbare, non te la invierò.
Thanks for all!
Gran bella lettera !! Ma non tutti i poeti cercano il compiacimento, solo quelli che pubblicano lo fanno. Tanti scrivono e nascondono e sono i più veri !
RispondiEliminaPaola T.